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I ricercatori dell’Institute for the Preservation of Medical Traditions in collaborazione con il Center for Conservation and Evolutionary Genetics della Smithsonian Institution potrebbero essere sul punto di svelare il mistero che avvolge medicine romane preparate oltre 2000 anni fa.
Nel 1974, gli archeologi del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina, una sezione dell’ Istituto Internazionale di Studi Liguri, Albenga, individuarono un relitto al largo del golfo di Baratti, in Toscana. Il relitto, meglio conosciuto come Relitto del Pozzino, fu per la prima volta esaminato nel 1982 e verso la fine degli anni ‘80 sistematicamente scavato dal personale scientifico della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (un organo periferico dell'allora Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali, ribattezzato poi Ministero per i Beni e le Attività Culturali) in collaborazione con altri uffici pubblici (Carabinieri, Vigili del fuoco) sotto la direzione del Prof. Francesco Nicosia e della Dott.ssa Antonella Romualdi.
Fra i materiali rinvenuti nel 1982, uno strumento chirurgico—uno specillo—e un mortaio fecero pensare al bagaglio di un medico. Furono però i ritrovamenti del 1989 che portarono alla luce numerosi altri reperti attinenti alla professione medica: una ventosa bronzea per salassi, una brocchetta di stagno con filtro, 136 fiale di bosso, e alcuni contenitori di stagno. Questi si erano mantenuti in uno spazio circoscritto, e per di più in prossimità di un lucchetto, fatto che fece pensare ad un cofanetto trasportato o destinato ad un medico. In uno di questi contenitori di stagno, poi, furono rinvenuti dei probabili medicinali in forma di compresse circolari (diametro 3 cm ca.), piatte (spessore 5 mm.), e di colore grigio.
Le tecniche ed i materiali di costruzione della nave, così come il contenuto del suo carico datano la nave al 140-120 aC. Il suo carico include anche tazze di vetro di probabile origine siro-palestinese, una brocca in stile cipriota, anfore per il vino dall’isola egea di Rodi, lampade dall’Asia Minore, e ceramiche provenienti forse da Pergamo e Atene. Tale merce indicherebbe che la nave stesse navigando dal Mediterraneo orientale, probabilmente con destinazione Pisa o Marsiglia, mete usuali della strada commerciale dall’Oriente. Affondò invece nel Tirreno, al largo di Populonia, tappa importante nella rotta dal vicino Oriente al Mediterraneo occidentale.
Nell’ambito delle indagini diagnostiche che la Soprintendenza toscana ha realizzato per la conoscenza dei materiali rinvenuti e delle tecniche antiche per la loro produzione, nel 2004 è stata stretta una collaborazione fra ricercatori della Smithsonian, adesso presso l’Institute for the Preservation of Medical Traditions nella stessa Smithsonian, e il Laboratorio di Analisi della stessa Soprintendenza.
Nel 2004, i ricercatori americani hanno ricevuto due campioni prelevati dalle compresse contenute nel contenitore di stagno per indagare la sua composizione. Lo scopo della ricerca americana era di identificare i componenti vegetali delle pastiglie, per poter poi determinare le affezioni che potevano trattare. Contemporaneamente il Laboratorio italiano stava indagando sulla componente inorganica.
Dopo alcuni anni di tenaci sforzi, il team transdisciplinare della Smithsonian Institution è riuscito a identificare i componenti vegetali delle pastiglie grazie ad una tecnica di amplificazione ed identificazione del DNA di nuova generazione applicata dal genetista Robert Fleischer. I risultati preliminari sembrano indicare che il contenuto delle pillole includa quantomeno carote, ravanelli, prezzemolo, sedano, cipolla selvatica, e cavoli, cioè piante comuni, che si possono trovare nell’orto. Sembra che ci fosse anche l’achillea e l’esotico ibisco, probabilmente introdotto nell’area Mediterranea dall’Asia.
Di grande importanza è il fatto che queste piante—così come i prodotti inorganici identificati dal Laboratorio italiano—sono citate nei testi di materia medica che gli studiosi dell’Institute hanno estratto da manoscritti conservati in collezioni di tutto il mondo, trascritto e digitalizzato, studiato e inserito in una base di dati, lavoro che è parte di un progetto trentennale più ampio volto al recupero del patrimonio terapeutico del Mediterraneo antico.
Seppure ancora del tuttto preliminari, i risultati sono confortanti e spronano all’approfondimento e al confronto interdisciplinare.
Questa ricerca è una prima assoluta: le pastiglie sono gli unici resti archeologici finora conosciuti di antiche medicine, e la loro analisi è la prima finora eseguita. Quando verranno confermati, i risultati potranno convalidare i testi antichi, e apriranno la strada a nuove e promettenti ricerche scientifiche, fino a rinnovare le strategie finora applicate nella ricerca di nuovi farmaci. Fedele alla sua missione - Ispirare innovazione dalla tradizione-, l’Institute for the Preservation of Medical Traditions proseguirà l’indagine con il pieno appoggio e il costante impegno anche della Soprintendenza della Toscana, unendo storia e medicina, passato e futuro, ricerca fondamentale e applicata.